Italo Raffioli - Diario di un soldato. Cinque anni di un soldato chiamato alle armi (1940-1945) - a cura di Floriana Giannetti

di Floriana Giannetti

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    Descrizione:

    In 8°, bross. edit., 74 pp. su carta avoriata, ill.ni b/n e coll.

    Il ritrovamento di un manoscritto autografo... qual fatto più degno di nota
    dal punto di vista storico-letterario?! Dal commovente incontro, dopo 28
    anni, di una docente, la Prof.ssa Floriana Giannetti, con un alunno di
    Lenola, diplomatosi Geometra a Cassino nel 1995, nipote della “recluta
    Raffioli Italo, nato a Lenola il 25-8-1920”, nasce l’occasione – in ricorrenza
    dell’ottantesimo anniversario della distruzione della città di Cassino – di
    pubblicare il presente diario inedito, la cui lettura ci consente di avvicinarci,
    rispettosamente, alla drammatica vicenda dei tanti giovani soldati italiani, dal
    nostro territorio, inviati a combattere, nella lontana terra di Russia. Si tratta
    di un breve testo, umanamente straziante, incentrato su una delle narrazioni
    che più toccano il cuore: quella delle tante persone semplici, vissute in un’altra
    epoca, che ebbero in sorte, e non per loro volontà, di essere segnate dalla
    ferita dell’ultima guerra. Un raccontare, con purezza, basato sui fatti e sulle
    azioni e sul ricordo dei fatti e delle azioni, non privo di momenti di autentica
    drammatica poesia. Colpirà il lettore quel luminoso ricordo: “... per le vie di
    Roma, con un sole scottante e zaino bagnato di sudore”, chissà con quanta
    cura dal soldato Italo Raffioli serbato e custodito nell’intimo illusorio
    spazio che chiamiamo cuore, considerando la perigliosa e disumanizzante
    sventura che avrebbe, poi, per dovere di lealtà all’Italia, dovuto affrontare,
    sul freddissimo – e atrocemente tale! – fronte russo. Colpirà il lettore la verità
    dei fatti storicamente vissuti che si fa parola, narrandoci, senza opinioni e
    retorica, il senso vero della guerra come realtà negativa, che, progressivamente,
    freddamente, toglie e sottrae, all’essere umano, senza pietà, ogni cosa. Da
    quel fatto di quell’ultimo conflitto, autenticamente vissuto, non da cultura
    o retorica, i Padri e le Madri Costituenti trassero il “ripudio” della guerra, di
    cui all’art. 11 della nostra Costituzione della Repubblica Italiana; sentimento
    che vollero infondere nel cuore civico della Nazione rinnovata e che ci spinge,
    tuttora, nel rispetto della memoria, all’eterno ricordo dei fatti che furono.
    Augusto Ciaraldi


    Italo Raffioli, classe 1920, di
    Lenola, ieri provincia di Littoria,
    oggi Latina, è stato un soldato
    esemplare che ha pagato un
    tributo pesante alla folle avventura
    bellica nella quale il nostro paese fu
    trascinato. Inviato prima sul fronte
    francese e poi su quello balcanico,
    prese parte alla disastrosa campagna
    di Russia che vide l’inutile sacrificio
    dell’Armir, con più di 85 mila
    soldati che non fecero ritorno. E
    con tante altre decine di migliaia
    rinchiusi per anni nei terribili campi
    di concentramento, in preda alle
    malattie, alla denutrizione e al freddo
    che raggiungeva anche i 40 gradi sotto
    zero. Catturato alla fine di dicembre
    del 1942 nella zona del Don, derubato
    e spogliato di ogni cosa (riuscì
    soltanto a salvare una foto della madre
    e un’immagine della Madonna del
    Colle, nascondendole nelle scarpe),
    costretto a gridare “Viva Stalin”,
    tenuto a lungo senza mangiare, con il
    corpo infestato dai pidocchi e con un
    piede congelato, dopo dieci giorni di
    dura marcia a piedi e altri dieci in un
    treno sudicio, Italo e tanti altri soldati
    italiani furono depositati come oggetti
    vecchi e malandati in un gelido lager
    in Mordovia, nella pianura del Volga,
    che aveva ospitato prigionieri politici
    russi. E qui restò, subendo sofferenze
    inenarrabili (il rancio era pesce secco
    e una fetta di pane duro, mentre
    per bere ci si serviva della neve) fino
    al novembre del 1945, quando la
    guerra era già finita da un bel pezzo.
    Trentaquattro mesi di prigionia e
    di morte: dei 1.500 soldati italiani
    arrivati in quel campo, infatti, uscì
    vivo poco più della metà. Soltanto alla
    fine dell’anno e dopo un lunghissimo
    viaggio, Italo poté tornare a Lenola e
    riabbracciare i suoi. Cosa che in tanti
    non riuscirono a fare. Aveva soltanto
    25 anni ma aveva visto e patito cose
    difficili da immaginare con gli occhi di
    oggi. Per questo il suo diario, semplice,
    schematico, asciutto ma preciso e
    puntuale, è un prezioso cimelio da
    conservare con tutti i riguardi.
    Fernando Riccard